Occhi verdi, piccoli e furbissimi. Carnagione olivastra, barbetta incolta, eppure perfetta. Francese di Parigi, una specie tutta a se. Lo conosco una sera in un rooftop bar a Dumbo. Me lo presenta un’amica russa che conosce una sua cara amica di Rio, la quale scrive per un blog che racconta i posti più segreti della città. I classici giri di New York. Dove alla fine ci si conosce tutti.
Mi chiede cosa faccio. “Anche io la blogger, come la tua amica, Fernanda.”
E tu? “Io sono un real estate agent” / “Un agente immobiliare”.
Un calice enorme tra le mani, quasi come se fosse un sacro graal, ci stiamo studiando io e Bruno. Lui tra le mani stringe forte il suo cellulare, dal quale -evidentemente- non riesce a staccarsi.
Spettacolo, penso io! Posso attaccargli un bottone con il real estate. “You know, I was a real estate agent too… the best work I have ever had, except what I am doing now!” / “Sai, anche io ho fatto l’agente immobiliare… il miglior lavoro che abbia mai avuto, a parte quello che faccio ora!”
Se non che il cellulare suona. Il suo.
“Sorry I have to get this” / “Scusa devo prendere questa chiamata”. E si allontana di qualche metro in una zona meno rumorosa.
Approfitto per osservarlo un po’, per memorizzare ogni suo dettaglio. Lui ancora non lo sa, ma sta per diventare il primo personaggio della mia nuova serie “Anna & the City.”
Sneakers bianche ai piedi, un vestito color carta da zucchero dal taglio impeccabile, leggerissimo. I pantaloni sono ad acqua alta, come direbbe la mia mamma. La cravattina hipster color crema con le righine verde carta da zucchero. E poi quel vezzo, l’orologio rosso al polso sinistro. Niente calzini, o forse porta i fantasmini? Se capiterà l’occasione glielo chiederò. O magari lo scoprirò da sola.
Me l’immagino in giro per la sua Parigi a Saint-Germain-des-Près, una baguette sotto braccio. Che cliché! Al suo fianco una morettina con il caschetto ed un vestitino leggerissimo di lino bianco. Io!
MMMhhh… niente baguette questa sera, mi sa… meglio ritornare alla realtà!
Ritorna e mi dice “sorry”, con diciotto “erre”. Quanto adoro l’accento francese! Io che sono così sensibile alla voce e alla cadenza delle parole, sono in parasido. O forse è lo spritz che sta facendo effetto.
Mette via il cellulare. Finalmente ho la sua attenzione indivisa.
Si tocca di continuo i capelli. Li accarezza con cura. Non capisco se dentro quest’uomo c’è un’anima precisina oppure un sovversivo. Io che ho sempre bisogno di catalogare tutto e tutti e di capire le cose, inizio con le mie domande, e con i miei sorrisi. Gli racconto del mio progetto.
Ride.
“Oui, oui. I participate.” / Ma certo che partecipa il nostro Bruno.
“Non si saprà il mio nome, vero? Non potranno risalire a me.” Lo guardo e rido di gusto. “Direi di no, ma quello lo sai solo tu”.
Brindiamo.
Ci salutiamo con due baci sulla guancia e ci diamo appuntamento per il giorno dopo.