TOMMASO, il Prof. della proposta “indecente”

Lo conosco ad un concerto jazz ad Harlem, in una townhouse privata di quelle che stanno tutte in fila. Li chiamiamo brownstones, noi newyorchesi, perchè sono fatte con pietre marroni. Letteralmente.

Arrivo con un’amica, Sara, entrambe proviamo per la prima volta quest’esperienza di “concerto privato”. Ognuno porta una bottiglia di vino e paga $25, che vanno in supporto agli artisti di turno. Si chiacchiera un po’ prima che inizi il concerto, che dura in genere un’oretta circa. Poi altre chiacchiere post-concerto, questa volta ci si sposta nel backyard, il giardino che sta sul retro della townhouse, deliziosamente illuminato con migliaia di lucine che foderano il soffitto a cielo aperto. Siamo una trentina di persone e siamo tutti arrivati grazie al passaparola.

Nella living room, il salotto, un enorme camino in marmo rosa definisce l’intera stanza giusto al centro. Decine di candele di diverse altezze stanno sopra la mensola. Un grande quadro raffigurante due Pharaon Hound (Cani del Faraone) su fondo verde pistacchio, è posizionato di fronte al camino e si riflette su un enorme specchio anticato. I quattro occhi dei Cani del Faraone mi sembrano seguire ovunque.

Lo noto appena arrivata. Distinto, ha un gran bel sorriso ed il capello fluente. Porta occhiali fini neri ed una giacca in tweed verde che potrebbe stare bene solo a lui. Ha gli occhi molto dolci. Ricordo questo particolare di lui.

Ci presentiamo e iniziamo a parlare del più e del meno. Scopro che insegna matematica. Io gli racconto della mia prof. delle superiori, soprannominata Bacchi, che ha tentanto in tutti i modi di farmi amare la materia. Con poco successo.

“La matematica non serve a niente”, dicevo sempre io. Che poi sono finata a lavorare in finance.

Lo ritrovo seduto vicino a me al concerto. Sara mi fa il gesto del gomito. Due colpetti. sulle costole. Come a dire “mo, guarda chi sta seduto vicino a te”. Come non l’avessi visto!

Finiamo tutti nel backyard a bere vino rosso a fine serata. Io, con indosso una gonna di pelle (finta) nera ed una t-shirt bianca vengo tacciata per rockettara hard-punk. Lui lo facciamo invece passare per il “perfettino” della situazione.

Ci scambiamo i numeri e messaggiamo per qualche giorno. Fino a che mi chiede di uscire a cena. Andiamo da Marta a NoMad. La serata è splendida. Non mi sembra vero di parlare con una persona “normale”. Pacato ma divertente. Dolce ma con l’occhietto furbo. Dai contenuti interessanti, ma che sa essere anche frivolo.

Io parto come sempre svantaggiata, tutta la mia storia è on line (e nel mio libro), e non posso nascondere molto. Non che ci sia nulla da nascondere… lui sa già tutto di me prima ancora che inizi a parlare. Così gli racconto un po’ di tutto il “resto”, il mio mondo al di fuori del blog.

Al momento del dolce arriva la rivelazione. Lui in realtà ha già una compagna. Solo che ne sta cercando un’altra. E non per “cambiarla”, ma per aggiungerla. Lo prendo come uno scherzo. Mica uno potrà uscirsene con una cosa così.

E invece si.

È già accompagnato, abbastanza felicemente da quello che capisco, ma vorrebbe espandere il suo “parco macchine”.

Lo guardo e rido. E non so se ordinare un altro bicchiere di rosso. Giusto per berci su.

La richiesta arriva come quando si chiede al cameriere di portare il caffè. Con grande normalità.

Gli dico che ci penserò. Ma lui sa già che non ci sentiremo, ne vedremo mai più. Mi accompagna fino alla metro.

“Ci vediamo presto”, mi dice.

“Si”. Do un abbraccio di cuore a quest’uomo dalla proposta indecendete.

Non sarò la seconda donna di nessuno. Mi spiace. Vorrei essere la prima, magari l’unica, se non chiedo troppo.

Così gli sorrido e gli dico “good luck!”. E poi scendo in metro e, mentre aspetto che arrivi la 6, ascolto una canzone, “Albachiara” di Vasco.

Non ci siamo proprio. Qui deve cambiare qualcosa.

Per adesso so solo una cosa: non è lui. Decisamente.

 

 

 

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