Noooooo.
Ho dimenticato le mie pastigliette fucsia, quelle per la paura di volare. Che mi stordiscono così tanto, che se qualcosa dovesse capitare davvero, non me ne renderei conto. Penserei di essere dentro un qualche videogioco a livelli di difficoltà sempre più complessa.
L’aereo inizia a rullare in pista. In perfetto orario. Mi giro a guardare verso fuori, un ultimo sguardo allo skyline di New York dall’aeroporto di Newark. La signora che sta alla mia destra, seduta sui posti da due, si fa il segno della croce. Cominciamo bene. Mi guarda e ci sorridiamo. Anche lei ha molta paura, mi sa.
L’aereo decolla. Tutto ok, sembrerebbe.
Se non che, appena assestato in quota, arriva il momento che più temo: quei 20 minuti circa in cui sembra che l’aereo “rallenti”. O meglio, così pare a me. Ogni santa volta, mi immagino che ci sia un problema con il motore. E si, perché nella mia mente molto fantasiosa, dove ho già pensato a tutti i dettagli della tragedia, un motore funziona e l’altro no, così il pilota non sa che fare. La soluzione, ovvia, è che cerchi di mantenere l’aereo in quota come può. Temporeggia mentre decide il da farsi, andando “piano”.
Non ridete.
Aver paura di volare è una gran brutta cosa. Passano gli anni, ma quella non passa mai. Ho notato nel tempo che se faccio molti voli ravvicinati, mi sento meno ansiosa. Se invece passa molto tempo tra un volo e l’altro, riparto da capo.
Mi rendo conto dell’assurdità della cosa: dodici anni di voli intercontinentali e siamo ancora qui a parlare di paura di volare.
Osservo le persone intorno a me, spiando nella fessura che ho creato tra l’indice ed il dito medio, nel tentativo di coprire gli occhi e non vedere cosa sta per succedere. Sono tutti seduti. Tranquilli. Impassibili direi. Tutti tranne me. Che invece sono saldamente aggrappata ai poggioli del sedile. Le dita delle mani che sembrano i rastrelli delle foglie secche. Sudo copiosamente. E poi ascolto. Ogni piccolo rumore. Che interpreto, da esperta conoscitrice di aerei quale NON sono.
Decido che si, l’aereo sta per cadere. Intanto, il mio corpo è scivolato lungo il sedile. La testa arriva appena sotto il mini schermo di fronte a me, tanto mi sono abbassata per aggrapparmi come posso a qualcosa di fermo. Prendo il menù semi rigido e, a mo di ventaglio, inizio a farmi aria. Mi manca il respiro.
Basta. Questa è l’ultima volta che volo.
No vabbè. A New York devo tornare, però poi basta.
Prendo coraggio e guardo fuori. In base a quanto veloce l’aereo corre rispetto alle nuvole (nel frattempo ho anche completato il corso accellerato sull’interpretazione dei movimenti delle nuvole!!!) valuto se sono salva o no.
Sono salva, sembrerebbe.
Faccio dei gran respiri. Stile yoga. Ooooommmmmh. La signora di prima mi guarda spaventata. Lei, che con il segno della croce pensava di essere a posto. E no, cara signora. Troppo facile così.
Prendo il laptop ed inizio a scrivere. Funziona sempre per me. La paura, l’ansia, i momenti difficili, sono sempre fonte di grande ispirazione.
Qualcuno mi ha parlato una volta dell’esistenza di corsi per superare la paura di volare. Penso proprio che ne farò uno a breve.
Non è solo paura di volare, però. È paura di perdere il controllo. Anzi, di non averlo. Perché non sono io a guidarlo, l’aereo. E cosa ne so di chi sta là davanti. Pensateci bene: sono solo in due e magari la sera prima hanno fatto tardi e non sono al 100%. E poi fa buio, magari non vedono bene…
Eppure, la voce del capitano mi sembrava a posto. Si perché, tra i vari test pre-partenza, che mi fanno capire quanto “brutto” sarà il volo, c’è il test della voce del comandante.
Non appena parte l’annuncio, fermi tutti. Let’s stop the madness! Ascolto ogni parola con grande attenzione, come fosse l’annuncio della terza guerra mondiale.
Se la voce mi da una sensazione di equilibrio, di fermezza, sto tranquilla. Altrimenti è un disastro. Salgo in cattedra e approvo il comandate, insomma.
Quando ormai manca poco all’atterraggio, mi viene in mente la canzone di Jovanotti.
La vertigine non è paura di cadere, ma voglia di volare. E allora la mia paura di volare e di perdere il controllo, è in realtà sintomo del bisogno forte e costante di sfidare le mie debolezze. Di non farmi sconfiggere dalle avversità.
Infatti, ci rido sempre su, alla fine.
Ad ogni modo, per il viaggio di ritorno, le pastigliette fucsia non le dimenticherò. Parola mia.
Io non faccio voli intercontinentali ma solo Italia /Inghilterra e viceversa due volte l’anno, ma la sensazione è tremenda, non l’ho mai detto a nessuno ma ho pauraaaaaa! Io prendo un’ansiolitico mi aiuta tantissimo. Sai una cosa, più invecchio e più la paura cresce, più divento esperta di aeroporti, bagagli, aerei, è più cresce! ma chissà perchè!
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:)) Anna se ti può consolare non sei l’unica a comportarsi così durante ogni volo (anche io come te viaggio abbastanza di frequente) quindi direi che le risate adrenaliniche finali ci stanno eccome :))
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