Come hai fatto tu

In queste settimane in giro per l’Italia ho sentito tante, tantissime storie. Alcune mi hanno colpito più di altre, perchè chi me le raccontava ha scelto di accovacciarsi davanti a me, di guardarmi negl occhi, di accarezzarmi la mano, e parlarmi come si fa ad un’amica, ad una sorella. Con gli occhi lucidi, con la voce piena di emozione. Perchè spesso è molto più facile aprirsi con una sconosciuta,  che con chi ci sta intorno.

Sono tre le storie che sento più spesso ed hanno tutte per protagoniste donne e uomini coraggiosi, che non mollano. Che cercano di dare voce alla loro storia.  A volte di urlarla.

  1. Donne che hanno perso il loro fidanzato/compagno/marito, o magari un genitore. Tutte perdite importanti. Che segnano profondamente. La storia che mi è rimasta più nel cuore è ancor più straziante. Quella di una mamma che ha perso il figlio. Mi ha spezzato il cuore quando me l’ha detto. Stavo per firmare il libro quando ho mollato tutto e l’ho abbracciata. Pensate la forza che ha avuto nel venire ad ascoltare me parlare, anche del mio dolore, avendone a sua volta uno suo, di ancor più grande.  Mi sono quasi sentita in colpa per il mio, di dolore. Dicono che la perdita di un figlio sia quella più grande. Non l’ho mai provata e non posso dire di poterlo capire a fondo. Ma quegl’occhi verdi urlavano. Un contrasto incredibile con l’eleganza composta ed il portamento silenzioso di chi mi stava di fronte.

  2. Poi c’è un’altro tipo di perdita: la fine di una storia. Un divorzio. Scelte non volute. Difficili. Situazioni in cui si da il peggio di se stessi. Anche qui tante storie simili di donne – e di uomini – che non si vogliono arrendere a quello che la vita ha presentato. Eppure devono farlo. Accettare. Imparare. Rinascere.

  3. E poi ci sono loro. Le madri preoccupate per i figli. Non sanno che direzione prendere, i figli. E cosi anche loro, le madri, vanno in confusione. Non riescono a comunicare. E allora mi chiedono di dedicare il libro ai quei figli confusi. Di augurargli di trovare la loro strada. “Come hai fatto tu“.

Solo che io non l’ho fatto, non  fino a molto in la con l’età. Fino a poco tempo fa, non sapevo quello che volevo fare. Sono in costante movimento. Alla ricerca di apprendimento e di crescita. E non mi accontento.

È molto importante dirlo a questi ragazzi: non c’è nulla di sbagliato nell’essere confusi. Spesso per trovare la propria strada è necessario, e utile, sbagliare. Altrimenti come si fa a capire quello che si vuole davvero? Non siamo mica nati imparati. Io non sapevo già tutto appena finita l’Università. Figuriamoci appena finite le Superiori! L’ho imparato. Lo sto imparando. E sono cuorisissima di apprendere ancora, di rimettermi in gioco con nuovi progetti. Di sbagliare ancora, magari un po’ meno. Questo si!

Scusate se esco un po’ dal mio seminato, ma nelle classi dove sono stata a parlare della mia esperienza ho chiesto ai ragazzi di scrivere su un foglietto cosa vorrebbero fare da grandi e cosa li spaventa di più del futuro. Non so bene perchè ho fatto questa seconda domanda. Forse perchè volevo entrare dentro di loro. Ascoltarli per davvero. Le risposte sono state sorprendenti: oltre alla preoccupazione, legittima, di non trovare la propria strada lavorativamente, tanti hanno paura di non avere persone con cui condividere la propria vita, di rimanere soli.

Non me l’aspettavo. Ne ho parlato con professori, presidi e vice presidi. Forse non siamo più in grado di comunicare con i nostri ragazzi? O forse è sempre stato così e anche quando c’ero io su quei banchi la comunicazione non era delle migliori? Non lo so.

Forse ci si faceva anche meno domande. E siamo cresciuti lo stesso. Più o meno bene. Idem per i nostri genitori e nonni. Che le domande, ciao! Non c’era proprio tempo per farsele.

Però io me lo chiedo.  Soprattutto dopo una giornata come questa con la notizia della morte di Giada a Napoli. Non sapremo mai che cosa sia scattato nella sua testa. In queste ore penso allo strazio dei genitori che si staranno chiedendo come mai non hanno visto. Che cosa si sono persi.

A distanza, mando il mio abbraccio a questa famiglia che ha davanti mesi, forse anni, di domande che, per lo più, rimarranno senza risposta.

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2 commenti Aggiungi il tuo

  1. Bloguvi ha detto:

    Non andrà lontano chi sa dove sta andando: secondo F. Kafka l’avrebbe annotato Napoleone. E poi: Nessuna violenza supera quella che ha aspetti silenziosi e freddi (G. Ungaretti). Così, due brevi considerazioni suggeritemi dalla lettura di “Come hai fatto tu”.

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  2. trentazero ha detto:

    Storie fortissime e tu hai davvero le spalle forti per accoglierle.

    Hai ragione, si può essere confusi, possiamo autorizzarci ad aver pietà di noi in quei momenti di buio

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