Innamorarsi a New York

Che differenza c’è tra innamorarsi a New York ed innamorarsi in Italia? La domanda di Sara mi spiazza. Io che ho sempre le parole giuste sono rimasta senza fiato. Da Bakeri a Greenpoint la guardo e sorrido.
“Sai che non mi sono mai soffermata a pensarci?”

Osservo la carta di parati fiorita. Sorseggio il mio americano. Faccio mente locale. Penso ai tanti racconti di amiche ed amici, qui e in Italia. Di primo impatto, banalmente, penso che no, non ci sono differenze.
“Ci si innamora dappertutto nello stesso modo. Ispiegabilmente”.

E invece no.

Usciamo e camminiamo verso LIC, attraversiamo il Pulaski Bridge insieme. Tira un gran vento. Dopo questo late afternoon tea, sono pronta a buttare giù un po’ di idee. Seduta alla scrivania, apro il mio laptop. La ragazza sul taxi giallo mi saluta. Sono quasi le sei del pomeriggio. Il sole sta tramontando. Le luci della città sono accese. Sembra di essere dentro ad un quadro di Magritte. I fari rossi e bianchi delle macchine creano file interminabili sulla FDR (n.d.r. l’autostrada che percorre Manhattan sul lato est).

Inizio a scrivere.

A New York ci si innamora forse più intensamente, esasperati come siamo dai ritmi infernali. Leggermente induriti della città. Non crediamo più a niente. E allo stesso tempo crediamo a tutto. Ci hanno insegnato che tutto è possibile. Qui. A New York. E noi ci crediamo, perchè lo vediamo accadere davanti ai nostri occhi. Ad amici. A conoscenti. A noi stessi.

L’innamoramento dura 3 giorni. Ci si vede. Ci si confronta sulle classiche tre-domande-tre: che lavoro fai? dove abiti? da quanto sei qui?
Una volta deciso che ha senso continuare la conversazione – ha un lavoro, OK! abita vicino, OK! è qui da più di 3/5 anni, è un/una survivor, OK! si passa alle cose pratiche. Dove stiamo. Da te? Da me?
I portierei dei palazzi vedono dei gran via vai qui a New York, ragazzi!!!

Sorseggio un altro caffè. Questa volta un buon espresso, versato sulla mia tazzina nera Vergano direttamente dalla moka regalatami da mamma.

Possiamo uscire con uomini e donne da ogni parte del mondo. E questi uomini e donne sono qui più o meno per gli stessi motivi nostri. Per raggiungere un sogno. Per scappare dalla realtà. Per rimettersi in gioco. Vivono in mini appartamenti. Escono di corsa al mattino per prendere la metro. Lavorano 10-12 ore al giorno. Il pranzo davanti al computer. I meeting. Le chiamate. Le performance review. I risultati da portare. Gli affitti alle stelle. Quattro mele a $10. Il prosciutto che cosa come l’oro.

Nessuno a cui rendere conto. Solo la città. Solo noi stessi. A New York ci si impara a conoscere bene. Per scelta. Nostra o degli altri. In una città cosi piena di persone, ci si può anche sentire molto soli. E allora via di viaggi mentali. I più ne escono vittoriosi. Consapevoli. Fortificati.

If you can make it here, you can make it anywhere. No?

Ecco innamorarsi a New York, a mio modesto parere, richiede coraggio e intrapredenza. Non ci sono protezioni. Non ci sono filtri. Nessuno a cui chiedere “che tipo è?”. Tocca andare sulla fiducia. Prendere o lasciare? Next!

La cosa splendida in tutto questo è che quando arriva la persona giusta ci si riconosce da lontano. Le risposte alle tre-domande-tre non hanno più imporntanza. L’unica cosa che conta è come ci si sente. Protetti. Con un alleato con cui lottare. Con cui alzarsi al mattino e scendere in campo. Con cui confrontarsi in questa concrete giungle. E magari incazzarsi quando le cose non vanno bene. E celebrare quando invece tutto è ok. Senza bisogno di un occasione speciale. Solo perchè, anche oggi, siamo arrivati a fine giornata. Stanchi. Delusi. Esaltati. Contenti. Toccati. Emozionati. Innamorati. Di noi e di New York.

Un commento Aggiungi il tuo

  1. trentazero ha detto:

    Il non avere protezioni penso racchiuda tutto, sia il bello che il brutto di vivere all’estero.
    Che sogno cmq, innamorarsi a NY. 🙂

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