Il fuoco dentro

Volo diretto Venezia-New York. C’è solo dalla primavera all’autunno. Si sale in laguna, si scende al JFK. Con Delta. Si capisce subito la desinazione finale: l’aria condizionata è sparata a palla. Ma io, preparatissima, ho con me una felpa con cappuccio, il giubotto trapuntato ed un plaid con le stelline. Sembro pronta per una spedizione al Polo Nord.

Nove ore di viaggio. Per le prime tre dormo, tramortita dalle mie pastigliette fucsia contro la paura di volare. Poi guardo un film. E poi lavoro. Preparo la lista di cose da fare, mi segno qualche idea, riprendo in mano i progetti “lasciati” prima della partenza. Rispondo agli e-mail arretrati da settimane.

Penso al giorno in cui ho dato le dimissioni da quell’azienda che cosí tanto ha significato nella mia vita. Nella quale sono “cresciuta”, indirettamente prima, direttamente poi. E a tutto quello che è successo.

Ho lasciato la sicurezza del posto “fisso” per i valori nei quali credo. La libertà, la felicità e, soprattuto, la passione. È sempre lei a ritornare nella mia vita. Perchè uno può essere preparatissimo. Audace. Determinato. Ma se non c’è la passione per quello che si fa, manca l’ingrediente segreto della ricetta. Quel qualcosa che fa la differenza.

Ve lo dico con il cuore, ragazzi: i vostri occhi devono brillare quando parlate di quello che fate. Che siate il salumere del supermercato dietro casa, l’impegato di banca, il designer di un marchio famoso, o l’autista di Trump, dovete farlo al meglio. Dovete avere il fuoco dentro di voi. Doverte volerlo così tanto da metterci tutto. Da non lasciare niente di intentato.

Non è facile. Del resto se lo fosse, lo farebbero tutti. No? E per quelli che ce la fanno, sono grandi soddisfazioni. E non è mai, o quasi mai, per soldi o per fama. È sempre per passione. Perchè ci si crede, perchè non si potrebbe fare altrimenti.

E così, la visione iniziata due anni e passa fa, ora ha un senso. Il blog, il libro, la charity. I miei tre pilastri. Più passa il tempo, più sta diventando chiaro il percorso. Eppure mi sono chiesta, mi chiedo tutt’ora, se non sarebbe meglio sparire. Adesso.

Ma come faccio? Con il fuoco dentro, mica ci si può fermare.

Al controllo passaporti il policeman mi dice “welcome home”. Vorrei quasi abbracciarlo. Attendo le valigie, le mie sono sempre le ultime, per qualche misterioso motivo, e scopro che nel volo con me c’è la mamma di Rosario, il capo di Marco nel libro. Esco e trovo ad aspettarmi proprio lui – Rosario/Carmine, la moglie e la mamma. Emozionata, mi sento in famiglia. Di solito non c’è mai nessuno ad aspettarmi all’arrivo a New York.

Un flash veloce mi riporta a 10 ore prima. A mamma e papà che se ne vanno tristi verso casa dopo avermi accompagnata all’aereoporto. È sempre dura partire, lasciare le persone care a casa.

E poi vedo lei. Manhattan. Lo skyline dal Queens è fenomenale. Mi emoziono. Mi chiedono cosa si prova a tornare a New York dopo così tanto. Rispondo semplicemente: “sono tornata a casa”.

Arrivati a LIC – Long Island City, prendiamo Center Boulevard. Manhattan ci accompagna alla nostra sinistra fino al mio palazzo. Non è cambiato nulla. Abbraccio il portiere. Mi chiede com’è andata.
“Splendidamente”.

Salgo al 23mo piano. E quando entro mi viene un grande groppo alla gola. Mollo le valigie e mi siedo sul divano. Guardo la mia città davanti a me e piango un po’.
Lui me lo diceva sempre: “puoi fare tutto quello che vuoi, puoi raggiungere qualsiasi obiettivo, tu. Avverare ogni tuo sogno. Io sarò sempre con te”.

Non so se era questo che avrebbe voluto per me.
Marco.
Voglio pensare di si.
Voglio pensare che mi abbia accompaganta fino ad oggi. E ora abbia lasciato la mia mano. Ora che sono pronta. A camminare da sola.

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